di Luana Pessina
Sono tre notti che non dormo; il mio aspetto me lo
ricorda e lo fa capire agli altri. Recupero il beauty contenente i trucchi e
provo a rendermi presentabile. Fallisco la missione: dannate borse sotto agli
occhi!
Questa mattina mi devo incontrare con un cliente.
Appena avrò finito di sistemarmi prenderò il taxi. L’ho già chiamato e dovrebbe
arrivare tra una decina di minuti. L’autista mi accompagnerà in centro, non
andrò in agenzia. Infilo le collant cercando di esser delicata. Ogni volta,
facendo di fretta, rischio di romperle e più di una volta mi è capitato che
fossero l’ultimo paio e di rimanere con le gambe nude. Devo smetterla di
comprare calzature economiche che alla minima tensione si spaccano.
Fortunatamente quest’oggi non è una di quelle occasioni e il mio animo si
rasserena leggermente.
Guardo l’orologio: sono le 9.12. Completo il
vestiario e scendo le scale raggiungendo la hall dell’hotel. Chi mi
accompagnerà durante il tragitto è già arrivato e si sta fumando una sigaretta
all’esterno dell’abitacolo. Appena mi vede varcare la porta elettronica lascia
cadere sul marciapiede il bastoncino di tabacco e lo schiaccia con foga. Mi
apre la portiera sorridendo ed io salgo ignorandolo. Non ho voglia di
dialogare. Il mio unico desiderio è che la giornata si concluda al più presto.
Mentre la macchina gialla sfreccia nello smog caotico
della città elaboro i dati riguardanti alla casa che dovrò proporre
all’estraneo con cui ho appuntamento. È una dimora antica dei primi del
novecento che è stata ristrutturata da poche settimane. La visuale si affaccia
sulla piazza principale. L’appartamento che andrò a presentare non è arredato e
si trova al secondo piano che corrisponde all’ultimo abitabile e ne ricopre
tutta la superficie.
Un semaforo rosso mi desta dalle riflessioni e mi
porta ad osservare oltre il finestrino. C’è una donna matura che cammina nella
zona pedonale e che scherza col proprio figlioletto seduto nel passeggino. Non
è mia intenzione avere dei figli in un futuro prossimo. D’altronde penso che
alla mia età abbia avuto gli stessi propositi quella donna; all’incirca avrà
avuto 35 o massimo quarant’anni.
Alla fermata pago l’uomo dall’aspetto scocciato.
Forse avrebbe voluto socializzare. Spedita mi reco al numero civico. Di fronte
al cancelletto in ferro battuto ricerco le chiavi che navigano nella borsa.
“Buongiorno, lei è Corinne, l’agente immobiliare?”
quella voce roca si esprime nel momento preciso in cui afferro le chiavi. Le
estraggo e mi volto per presentarmi.
“Sì, sono io. Lei deve essere il signor Diaz.” Mi
affretto ad aprire il cancello e ad invitarlo ad entrare nel piccolo ingresso
non coperto. Comincio subito ad illustrare l’intera struttura e la storia della
dimora intanto che l’ascensore ci trasporta ai piani superiori.
Spalanco le finestre per l’odore chimico e ricordo al
cliente che soli due giorni prima l’appartamento è stato completamente
imbiancato. Sarei dovuta arrivare prima per far cambiare aria. Quell’uomo
dall’aria modesta sembra non farci caso.
“Le dimensioni sono ottime per far alloggiare una
famiglia o costruirla.” Le due camere da letto e l’ampio salone appoggiano la
mia affermazione. Con tale frase induco il cliente ad illustrarmi la
composizione del suo nucleo. Nonostante le cartelle me la riportino espressamente.
“Sì, vedo.” Mi appresto a fargli fare un giro
turistico descrivendo meglio ogni angolo.
“Mi piace molto la luminosità che possiedono le
stanze.” L’intera dimora, affacciandosi su una piazza frontalmente e avendo un
parco nel retro, ha un contatto costante con i raggi solari. Glielo rendo noto.
Il suono del mio cellulare si insinua nel discorso.
Avevo dimenticato di disattivarlo. Mi scuso e rifiuto la chiamata dopo aver
letto il nome femminile.
“A mia figlia potrebbe piacere.” Mi informa.
“Vuole fissare un ulteriore visita per portarla?” Lui
nega la proposta e richiede i documenti della compravendita. La psicologia
verbale funziona sempre: il dimostrarsi disinteressati e non avere fretta
frutta più dell’opposto.
“Quante volte ti ho detto di non chiamarmi quando
lavoro?!” Pronuncio nervosa al telefono.
“Mi manchi. È una settimana che non ci vediamo..
tregua?” mi metto a ridere. Non aveva capito proprio nulla dalla lite. “Ho
parlato con Aaron, anche a lui manca l’Atmosfera”. Certo, peccato
che cambiasse opinione a seconda della situazione. Non era in grado di puntare
i pugni e fare l’uomo. Così toccava a
me rimanere ferma e solida.
“A me non manca la tua ignoranza” odo il singhiozzo
indotto dalle lacrime che probabilmente ormai le hanno disfatto l’ombretto nero
che si ostina ad usare. Non aveva mai seguito i miei consigli. Possedeva uno
sguardo angelico e puro, un taglio degli occhi che mi incantava e con quel velo
nero lo rovinava, la rendeva troppo aggressiva per la sua indole. Ma è solo uno
degli esempi più superficiali.
“Possibile che non vuoi darci un’altra possibilità?
Lo sai che siamo il nulla se manca uno.” Lo sapevo benissimo. La magia era
composta dal trio. Ci completavamo. No, anzi, ci accrescevamo.
Ho stampato nei ricordi la nostra prima volta.
Ricordo il candido babydoll che avevo regalato a Milla e che lei odiava. Era troppo da bambolina
per i suoi gusti: color rosa antico colmo di pizzi e merletti. Avevamo
programmato quella notte nei minimi dettagli. Era stato Aaron a volerlo fare, voler fare una scaletta e decidere sia il posto che
l’Atmosfera. Era un maniaco del controllo, si ansiava per le sorprese. Così
quando ci propose di realizzare un regalo a catena che avremmo indossato, sia
io che Milla ne fummo alquanto stupite. Quello fu uno dei
piccoli passi che attuò per combattere la sua mania. Lui decise il mio intimo,
anche se continuo ad avere il sospetto che si fosse messo d’accordo con quella
docile ragazza. Indossai un bustino in pelle nero lucente con la scollatura
leggermente a cuore e la schiena coperta da nastri che mi stringevano il petto,
la vita e i fianchi; slip di raso abbinati. Almeno lì si erano contenuti:
conoscevano il mio odio incondizionato per i fili interdentali. E décolleté a
tacco fine che avevo utilizzato anche questa mattina. Milla ovviamente non si era limitata nella scelta del capo che l’unico uomo avrebbe
indossato. Aveva acquistato un paio di boxer leopardati.
Andammo a casa di Aaron; Milla mi venne a prendere come al suo solito in
ritardo. Lui era stato l’ultimo a trasferirsi ed aver lasciato il proprio
tetto. Quindi era un modo per inaugurare anche la nuova svolta nella sua vita.
Aveva ancora pochi oggetti d’arredo ma aveva
l’essenziale. Un letto, un tavolo e i fornelli. Venimmo travolte dalla sua esaltazione
appena aprì la porta. Volle farci vedere il nuovo affare immobiliare, un
bilocale abbastanza piccolo ma dal clima privato. Essendo stufa del visitar
case nel momento in cui si prostrò ai miei occhi la camera io mi diressi
immediatamente sul letto e mi abbandonai. Ero stanchissima, abbassai le
palpebre e le scarpe mi scivolarono dai piedi. Non avevo notato l’aria
romantica che aveva voluto costruire con le candele che emanavano profumo di
cannella e i fiorellini di vaniglia sparsi ovunque. Ero senza forze e quel
corpetto infernale mi stava stritolando. Tuttavia non avevo alcuna energia che
mi spingesse a sollevarmi per levarmelo, anzi ero rimasta con addosso pure il
trench che era l’unico capo che toccava la pelle corvina.
Qualcuno mi sfiorò i polpacci che indugiavano a
penzoloni a lato del letto. Non mi mossi nemmeno quando percepii i bottoni del
cappotto distaccarsi. Quelle mani rudi non potevano essere femminili. Mi
sollevò il busto e mi sfilò le maniche pesanti. “Sei distrutta. Che dite se
rimandiamo?” Immediatamente l’altra donna sopraggiunse sul materasso. “Mai!”
disse con foga e mi divorò le labbra borgogna. Rimanevo sollevata attraverso la
presa di Aaron ma mi liberai subito per stringere tra le
braccia la mia compagna. L’abitino che le avevo regalato le cingeva il corpo in
modo divino, sembrava una bambola di porcellana. Le scostai una ciocca dorata
dalla fronte e la feci sdraiare sul letto. Un colpo di tosse ci ricordò che non
eravamo sole. Ci eravamo scordate di Aaron. Dunque
scendemmo dalle lenzuola per lasciargli spazio. Si sedette a bordo dopo che gli
avemmo rimosso l’accappatoio e si rilassò completamente.
Lei si pose alla sua destra ed io alla sua sinistra.
I piedi scalzi si fondevano col pavimento ghiacciato. Cominciai
mordicchiandogli l’orecchio e giocando con i suoi ricci. Le mani dell’altra
donna erano più voraci, tastavano il terreno con insistenza. Con la coda
dell’occhio ne vidi una scendere ed infilarsi sotto il tessuto animalesco.
Non la seguii ma mi soffermai sulle labbra morbide
che ormai avevano perso ogni traccia di burrocacao e si stavano seccando. Le
rinfrescai abbondantemente. Sembrò apprezzare la dimostrazione d’affetto perché
mi sentii avvolgere la vita da un braccio che mi spinse verso di lui. Milla era discesa nelle tenebre. Aveva recuperato un
cuscino che aveva posizionato sotto le ginocchia per comodità.
Chinando lo sguardo sul basso ventre maschile notai
una serie di stampi corallini della bocca della ragazza che stava più in giù;
la cui testa era in preda ad un moto diligente. Posi il palmo della mano destra
sugli addominali nascosti per percepire meglio l’ansimo dei suoi muscoli e
cominciai a giocare con il lobo del piccolo orecchio. Lo strattonavo delicata
per poi lasciarlo e riprenderlo all’istante. Ogni tanto scendevo lateralmente
sul collo per regalargli qualche bacio sottile.
Gli afferrai le dita collegate al braccio che non mi stava
circuendo la schiena e gli mostrai la strada che si stagliava oltre il ponte di
venere. Prima di dargli qualche dritta testai la sua capacità di donarmi
piacere. Adagiata la guancia sulla sua spalla, annullai i pensieri. Mi stavo
inebriando della cannella volante; captavo i tenui movimenti che si apprestava
a rilasciare tra le piaghe ruvide della mia intimità. Nonostante si trattasse
di un uomo non era spiacevole lasciarsi coccolare dalle effusioni esterne;
solitamente gli atteggiamenti maschili durante tal compito mutavano in
locomotive rumorose.
Ma io non ero finita nel triangolo solo per godere
dei suoi palpeggiamenti; ero interessata a scoprire la donna dall’apparenza
innocente. Dunque mi staccai da lui e piegando la schiena verso le sue gambe
recuperai il viso animato. Presto ci allontanammo dall’uomo per sdraiarci sulle
lenzuola estive che trasmettevano freschezza. La pelle liscia faceva fluire il
tocco su di lei in modo lieve. La sua ingordigia mi privava di stare in una
posizione di dominio e non mi restò altro da fare che arrendermi al desiderio.
Mi aveva cinto le anche con le cosce sinuose; suggerendomi di socchiudere gli
occhi con un timbro vocale che feci fatica a riconoscere per poi lasciare
respirare i miei polmoni bollenti. Dall’incavo del collo stretto era scesa a
tratti regalandomi dei baci che non sarebbero mai potuti appartenere ad una
creatura del paradiso. Era calata seguendo la clavicola destra e massaggiandomi
la sinistra fino allo sterno sul quale si era soffermata. Mi rilassavano
parecchio quelle emissioni. Era stata una giornata stressante ed avevo bisogno
solamente che qualcuno si prendesse cura di me senza che io mi destassi.
Purtroppo non poté raggiungere la meta tanto ambita
che Aaron la sollevò di peso e l’adagiò cautamente sotto di sé. Mi spazientì
particolarmente quell’azione: era un egocentrico! Inaridita dai preliminari
inconsistenti mi liberai, con parecchia difficoltà a causa dei nodi stretti dei
nastri, del bustino. E recuperai le attenzioni di entrambi. Serpeggiai tra i
due corpi ed acquistai calore. Spinsi il ventre contro quello della donna e
piegai leggermente la gamba per avere un maggiore contatto con le sue conche. Percepii
un sussulto nel fisico appena cominciai a fare pressione su di esso; nel
frattempo l’uomo alle mie spalle, ormai saturo, si apprestava a tastare il
terreno per verificare il grado di umidità. Prima che mi coprisse con la sua
persona e privasse ogni altro movimento largo mi elevai dando l’opportunità a
Milla di togliersi il baby doll che fino ad allora era rimasto piegato sopra il
seno minuto.
La sensazione che provai fu quella di completa
armonia. Sentivo di aver trovato finalmente la mia ancora. Io ero il fusto e
loro le due marre. Sentivo di non essere più unica contro il mondo ma di esser
compresa da altri individui. I quali nonostante fossero amici da parecchio
tempo, non ero riuscita a comprendere fino a fondo. Ero certa che nel momento
in cui fummo tutti e tre collegati anche loro percepirono lo stesso stato di perfezione.
Il sorriso fugace che ad ogni respiro mancato
compariva sul viso di Milla mi riempiva d’orgoglio. Le braccia fragili e
pretenziose che se ne stavano stese sul cuscino accanto alla testa scompigliata
ogni tanto si svegliavano per incitarmi a baciarla. Le unghie corte si
intrecciavano con i miei capelli e mi infervoravano parecchio. Aaron invece era
meno espansivo e di lui potevo apprezzare solo la presa salda che manteneva sui
fianchi formosi ed il ritmo incessante che aderiva sul mio sedere fremente.
Le candele nella stanza erano sull’orlo di una morte
fredda mentre noi ci consumavamo a vicenda appropriandoci dello spirito con cui
stavamo a contatto. Il nostro bollore come le piccole candele che infestavano
la stanza era evaporato presto per lasciare il ruvido stoppino bruciato. Quella
notte mi congedai presto; appena il termometro toccò il punto massimo e
scoppiò, io li salutai con un bacio condiviso. Presi il cappotto e me ne andai.
Non era nella mia natura concedermi completamente. Avevo preferito tornare a
casa per stare con le considerazioni e me stessa.
Il cellulare era rimasto muto per un paio di secondi.
“Sopravvivrete” le chiudo il telefonata senza
attendere altre parole.
Complimenti! Davvero molto interessante
RispondiEliminaGrazie! Mi fa molto piacere che ti sia piaciuto :)
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